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MILANO 2: PROFEZIA DEL BERLUSCONISMO

6 febbraio 2019
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Immersa nel verde, con i suoi ponticelli pedonali e i condomini di lusso decorati con tegole di terracotta, Milano 2 era la rassicurante illusione che anche la modernità potesse essere un sogno che si realizzava.

Noi non siamo più nell’officina, – Entro terra, dai campi, al mar – La plebe sempre all’opra china – Senza ideale in cui sperar – Su, lottiamo! l’ideale – Nostro alfine sarà – l’Internazionale – Futura umanità!

Questo fu il coro urlato con l’immancabile pugno al cielo che accompagnava la versione elettrica de L’Internazionale eseguita dagli Area che -come Jimi Hendrix a Woodstock- concludevano il Terzo Festival del Proletariato Giovanile di Parco Lambro. Nome altisonante, anno 1976, eppure, come titolò L’Espresso quel giorno finì il futuro. Fu infatti un fallimento totale, un evento dai nobili ideali che presto si tramutò in patetica anarchia. In un clima da presa della Bastiglia, il pubblico arrivò ad assaltare e razziare pure un camion di polli che passava di lì protestando contro  -oggi fa sorridere- il servizio di ristorazione a pagamento. Fu il caos e nessuno ne fu felice.

Eppure per un’utopia che falliva inopinatamente ce n’era un’altra che stava nascendo, e  lo faceva proprio lì, negli stessi giorni, all’interno di quel parco, dall’altra parte della tangenziale di Milano. Parliamo del piccolo comune di Segrate; piccolo, ma non secondario in realtà visto che si stavano costruendo sia la sede della IBM, firmata da Marco Zanuso, che quella -famosissima- della Mondadori progettata da Oscar Niemeyer. Ebbene anche un giovane imprenditore aveva deciso di realizzare là la sua città del futuro e per farlo aveva acquistato ben settecentomila metri quadri di terreno. In verità al momento della compravendita, parliamo del 1970, sembrava un flop, del resto il piano regolatore non prevedeva grosse cubature e oltretutto quell’area aveva diverse criticità, ma quel giovane aveva più di un asso nella manica. Si chiamava Silvio Berlusconi e, non ancora trentacinquenne, aveva deciso di costruire un nuovo quartiere, anzi un quartiere nuovo, di quelli che in Italia non si erano ancora mai visti. Un modello di città immersa nel verde, dove poter passeggiare o andare in bicicletta senza alcun pericolo, dove poter essere felici come le famiglie dei film.

Facciamo però un passo indietro. Per tutti gli anni sessanta il mondo occidentale fu investito da un processo di rinnovamento inedito. Tutto cambiò e anche l’urbanistica cercò di rispondere a questo mutamento. Le utopie si moltiplicarono per oltre un decennio ma la maggior parte di esse si tramutò ben presto in una versione distopica dell’idea iniziale: grandi architetti progettarono enormi quartieri con migliaia di abitanti alloggiati in mastodontici edifici in linea o in altissime torri, in quelle che, nelle intenzioni, dovevano essere piccole città verticali autosufficienti che però, spesso, non divennero mai tali. Le impegnatissime ideologie architettoniche -non diversamente da quelle dei giovani di Parco Lambro- avevano fallito. Il mondo sembrava improvvisamente cambiato. Il Cavaliere, che si dimostrerà sempre lucidissimo nell’intuire (o provocare?) i cambiamenti della società italiana, ne approfittò e offrì ai suoi clienti esattamente ciò che essi non sapevano ancora di desiderare. 

Un quartiere verdissimo, con oltre 40 mq di parco per ciascuno dei suoi 10.000 abitanti, un centinaio di negozi, un centro congressi, 5 ristoranti, uno Sporting Club, 4 palestre, 7 piscine, 11 campi da tennis, un asilo nido, 3 scuole materne, 2 elementari e una media. Tutto qui era a portata di mano, ogni desiderio sembrava esaudito, come in un enorme villaggio turistico nel quale passare il resto della propria vita. Certo non esattamente un quartiere popolare ma questo Berlusconi lo ometteva e tutti hanno continuato a crederci.
«Una Milano 1 per trovarsi al centro di tutto, una Milano 2 per ritrovare se stessi» come ebbe a scrivere un’insospettabile Natalia Aspesi che la descriveva come un’oasi di pace in contrapposizione al caos della città. Piccolissimo inconveniente, in quella zona gli aerei diretti al vicino aeroporto di Linate, non volavano che a qualche centinaio di metri dal suolo sconvolgendo con il frastuono dei loro motori la tranquillità della campagna. Un bell’intoppo, altro che ritrovare se stessi. Ora spostare l’aeroporto era complicato ma molto meno lo sarebbe stato deviare altrove le rotte d’atterraggio. Magari con le giuste conoscenze e qualche donazione..eppure la pratica andava per le lunghe e così Berlusconi esibì l’ennesimo colpo di teatro. Aveva un amico, un prete ma uno di quelli molto più attenti ai soldi che alle anime, al quale donò una parte di terreno per costruire un nuovo ospedale. Un conto se ci fosse stato un quartiere come tanti altri ma se là sotto c’era anche un ospedale gli aerei sarebbero dovuti per forza passare altrove. E così avvenne. Per la cronaca il prete rispondeva al nome di Don Luigi Verzè e l’ospedale si chiamerà San Raffaele. Risolto l’inconveniente la strada si fece in discesa, anzi, letteralmente lastricata d’oro visto che il prezzo degli immobili triplicò all’istante.

Il progetto era accuratissimo, dal piano urbanistico a quello del verde, basti pensare al famoso triplice sistema viario, una soluzione che prevedeva la strada veicolare incassata tra due rive erbose e attraversata da ponti pedonali o ciclabili. Il tutto raccontato con deliziosi ed efficacissimi disegnini, del tipo che anche Renzo Piano userà per raccontare tutti i suoi progetti. Ma si andava persino oltre, ogni cosa era prevista, quasi a ricercare un maniacale controllo della vita dei futuri abitanti. Gli appartamenti, tutti diversi e modernissimi, con arredi esclusivi disegnati solo per Milano 2 e persino chiavi unificate che aprivano tutte le porte o piscine sulle terrazze con acqua riscaldata. E ancora le scuole, di tutti i gradi, per le quali i designer idearono pure dei banchi speciali che favorissero la socializzazione tra gli studenti. L’arredo urbano, i cestini per i rifiuti, i lampioni e addirittura le tute per i soci dello Sporting Club. Un lavoro impressionante, quasi ossessivo. Le abitazioni erano lussuose e dotate di ogni confort ma al tempo stesso dovevano essere una rassicurante rivisitazione della città lombarda di un tempo: i tipici intonaci rossi, i portici sotto i quali passeggiare, balconi con i fiori e tegole di terracotta. Un’utopia ma molto familiare, nulla a che vedere con il brutalismo in voga tra gli architetti.

Della progettazione furono incaricati Enrico Hoffer e Giancarlo Ragazzi con i quali collaborò Berlusconi in persona, un po’ come quando diventerà proprietario del Milan e vorrà decidere la formazione al posto dei suoi allenatori. Ammetterà lo stesso Hoffer: «era attivissimo, partecipava alle nostre riunioni, diceva la sua e ha sempre avuto un ruolo significativo. Un suo pallino? Voleva a tutti i costi che i bambini potessero andare a scuola a piedi». La collaborazione tra l’imprenditore e i progettisti fu prolifica tanto che sarà lo stesso Cavaliere ad imporre il loro nome per la ristrutturazione dello stadio di San Siro in vista dei  Mondiali di Calcio del ’90 e il restyling del centro sportivo di Milanello. Ai due, di volta in volta, furono affiancati altri nomi spesso illustri come ad esempio Vittoriano Viganò e Livio Castiglioni. Il modello erano ovviamente le nuove città che si realizzavano nel nord Europa ma mai altrove la progettazione era arrivata ad immaginare persino un modello di vita. Ad esempio una delle ossessioni che indirizzò il lavoro degli architetti fu quella di ridurre al minimo le canne fumarie e le antenne televisive è così che optarono per una centrale termica centralizzata ed un sistema televisivo via cavo. Questa si dimostrò un’inattesa opportunità; il cavo che cablava il comprensorio era infatti dotato di ben sei bande ma le reti allora erano solo cinque (le tre RAI e due estere) così si pensò di offrire agli abitanti Milano 2 un ulteriore servizio esclusivo, una sorta di TV condominiale che potesse rendere più efficiente il sistema di sicurezza e sorveglianza. Passarono pochi mesi e Berlusconi intravide in quello che allora era poco più che un sistema di telecamere a circuito chiuso un’opportunità incredibile, trasformarlo cioè in una emittente televisiva vera e propria, Telemilano. A cosa potesse servire, all’epoca, non era ben chiaro, eppure il Cavaliere non badò a spese e investì immediatamente una piccola fortuna nell’avventura. Per rendere l’idea, non esitò a mettere sotto contratto il più famoso presentatore televisivo, Mike Buongiorno. Un po’ come se Cristiano Ronaldo lasciasse la Juve per giocare nella Carrarese.

Da lì in avanti fu un crescendo che trasformò la piccola rete in un fervente laboratorio d’avanguardia dove si sperimentava il futuro. Nelle cantine di Milano 2 furono costruiti gli studi televisivi e da lì andavano in onda trasmissioni innovative come Chewing Gum, Un Bel Giorno Ci Incontrammo, Fritto Misto o I Sogni del Cassetto condotti da gente come Claudio Cecchetto, Claudio Lippi, I Gatti di Vicolo dei Miracoli o lo stesso Mike. Una pletora di personaggi che presto sarebbero diventati familiari e che avevano la missione -non dichiarata- di vendere prodotti e spazi pubblicitari. Come dirà Peppino Ortoleva un indizio per capire dove sarebbe andata non solo la televisione privata ma più in generale quel vasto segmento della cultura nazionale che avrebbe finito con identificarvisi sul mercato e anche sulla scheda elettorale. Una trasformazione capace di disinnescare anche le violente spinte sovversive facendole confluire in ciò che solo più tardi avremmo imparato a indicare con il nome di “ascoltatore”. Ma anche una curiosa forma di anti-intellettualismo fondato sul fastidio di una società post-alfabetizzata verso chi pretende di saperne di più. A questo proposito sarà l’autorevole Giorgio Galli a certificare questo rovesciamento quando sulle pagine di Repubblica, alla fine del 1978, si domanderà sarcastico se quell’anno fosse stato quello di Aldo Moro o di John Travolta. Insomma dalle ideologie e dal terrorismo si passò -repentinamente- alla réclame e alle discoteche. La metamorfosi si era così compiuta in una metonimia simbolica che faceva assomigliare il modello che quella TV proponeva al luogo in cui quei programmi venivano realizzati tanto che Milano 2 può essere considerata, a tutti gli effetti, la matrice da cui è stata plasmata l’Italia degli ultimi quarant’anni.

(La mostra “Milano 2, La Profezia del Berlusconismo” è visitabile dal 7 al 14 febbraio presso la galleria Sinestetica di Roma)

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