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LAFUENTE, PIU’ ROMANO DEI ROMANI

16 febbraio 2023
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Dall’arrivo a Roma in moto negli anni cinquanta, all’ammirazione per Luigi Moretti. Dagli esordi con Monaco e Luccichenti ai grandi progetti. Breve storia di Julio Lafuente il più romano degli architetti romani

Lafuente arrivò a Roma dalla Spagna in sella ad una vecchia BMW nei primi anni ’50, proprio l’anno in cui il giovane medico Ernesto Guevara saliva sulla Poderosa attraversando l’America Latina. Per entrambi sarà un viaggio in moto a cambiargli la vita.

Tutto sappiamo del futuro Che ma fu curiosa anche la vicenda dello spagnolo che, dopo gli studi parigini in architettura, in fuga dal franchismo, va a visitare le antiche vestigia della Città Eterna. Era il 1952 e sull’Aurelia si imbatté in Fausto Coppi impegnato nel Giro d’Italia, in quella trionfale stagione che lo vedrà conquistare prima la maglia rosa e poi il Tour de France. Giunto a destinazione Lafuente si troverà immediatamente di fronte il monumento che più aveva studiato, il Pantheon, al cospetto del quale, folgorato, decide di stabilirsi lì cercando fortuna come progettista.

Erano gli anni della Dolce Vita con attori e artisti clamorosi a via Veneto ma, a ben guardare, notevole appariva pure il panorama degli architetti. Allora infatti il giovane Robert Venturi – futura star del postmodern – studiava all’American Academy e i vari Ridolfi, Quaroni e l’oltraggioso Luigi Moretti costruivano la città del boom. Quest’ultimo era un ex fascista mai pentito che si dedicava alla professione a modo suo, ispirandosi direttamente a Michelangelo e al barocco; con tanti saluti per il neorealismo allora in voga. Un eretico. Eppure il giovane Lafuente non ebbe esitazioni, affascinato da una sua palazzina ultimata in quel periodo, la mitica “Girasole” di via Buozzi, si convinse a bussare alla porta del maestro in cerca di un lavoro. Moretti lo accolse ma non lo prese con sé, lo raccomandò però ad una coppia di colleghi: Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti. Sarà con loro che il giovane Lafuente inizierà con i primi progetti come la Mostra dell’Agricoltura del 1953 all’Eur. Da lì in poi, con Gaetano Rebecchini, firmerà opere tra cui gli intensivi di Trastevere, quelli a Garbatella fino alla sede Esso alla Magliana e il fantomatico Air Terminal per i mondiali del ’90 oggi divenuto Eataly. In mezzo anche architetture perfette per il cinema come la Clinica del professor Guido Tersilli – in realtà la Pio XI sull’Aurelia – o l’ippodromo di Tor di Valle nel cult Febbre da Cavallo. Infine un commovente progetto – mai realizzato – con i fratelli Cascella, per il memoriale ad Auschwitz: un terno di 23 vagoni “scultura”, ognuno per ciascun paese di provenienza delle vittime.

Osservando oggi queste opere tutte curve e aggetti vengono in mente le parole di Giorgio Muratore: “A Moretti, Julio Lafuente restò debitore, soprattutto nell’attenzione al dettaglio, al valore della modanatura e all’interpretazione dell’eredità barocca. Credo sia stato senz’altro tra i pochissimi lettori di quella raffinatissima rivista che fu Spazio”. Su quelle pagine uscirono in effetti in quegli stessi anni alcuni saggi di Moretti come Forme Astratte della Scultura Barocca e Valori della Modanatura che sono inequivocabilmente alla base del lavoro di Lafuente.

 

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