Alla fine degli anni ’20 gli affari della ditta che il giovane Ferdinando aveva creato con suo fratello andavano già piuttosto bene. In fin dei conti persino la sciagura della Grande Guerra si era rivelata un’inaspettata opportunità e nemmeno i tracolli bancari sembravano poter mettere a repentaglio i loro guadagni. Anzi nel 1931 era arrivato un’incarico prestigiosissimo: la realizzazione della rete di irrigazione dei giardini Vaticani a Castel Gandolfo.
Del resto i due fratelli, figli di un semplice fabbro, avevano costruito la loro fortuna proprio con la commercializzazione di tubi in acciaio. Un bel giorno però, nella sede di via del Porto Fluviale, a due passi dall’antica Piramide Cestia, recapitarono un fascicolo di poche pagine che illustrava un nuovo morsetto per collegare tra loro i tubi, era stato inventato da un certo Palmer Jones e commercializzato dall’inglese Scaffolding. Nella testa del giovane Ferdinando scattò improvvisamente qualcosa, qualcosa che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Quel sistema in effetti permetteva utilizzi fino ad allora inimmaginabili ma era ancora troppo complesso, così l’ingegnoso Ferdinando si mise a lavoro e nel giro di qualche mese elaborò un nuovo, geniale, prototipo che passò alla storia con il suo cognome: Innocenti.
Brevettato il 6 febbraio 1934 il nuovo giunto era a dir poco maneggevole; Ferdinando infatti aveva intuito che per far diventare quell’idea vincente era necessario semplificarla fino a rendere l’assemblaggio dei tubi facile, rapido ed economico. Aveva ragione, il Tubo Innocenti sarà protagonista discreto ma fondamentale della modernità; Sin da subito si dimostrò ad esempio un supporto ideale per innalzare strutture temporanee il che lo rendeva il perfetto strumento per un regime che voleva dare all’Italia un aspetto di monumentale modernità.
Erano passate ad esempio solo poche settimane dal debutto sul mercato quando Edoardo Persico -il più sofisticato tra i teorici del Movimento Razionalista- utilizzò proprio i Tubi Innocenti per realizzare una delle opere che più influenzò gli architetti di quell’epoca: l’istallazione all’interno della Galleria Vittorio Emanuele di Milano in occasione del Plebiscito. Nell’estate di quello stesso anno poi, la nazionale italiana, guidata di Vittorio Pozzo, si aggiudicò la seconda edizione dei Campionati Mondiali di Calcio organizzati proprio dal nostro paese e così il pubblico poté esultare ai decisivi gol degli azzurri Orsi e Schiavio assiepato su tribune fatte proprio di tubi e innalzate appositamente per incrementare la capienza dello Stadio Nazionale di via Flaminia.
Mussolini stesso capì immediatamente che questa tecnologia avrebbe permesso oltretutto la costruzione dei grandi apparati scenografici che da tempo sognava e così il nuovo sistema tubo-giunto venne utilizzato per costruire dapprima i podi per i suoi comizi e poi delle vere e proprie architetture di “cartapesta”. L’esempio più inquietante venne messo in piedi il 6 maggio 1938 in occasione della visita a Roma di Adolf Hitler. In quella Giornata Particolare il dittatore tedesco, che arrivava in treno, si trovò ad attraversare una Capitale fatta di finte facciate che celavano alle loro spalle la povertà delle baracche per giungere, infine, alla nuovissima stazione Ostiense ideata per l’occasione. Ebbene quella stazione monumentale era in realtà finta: sotto al rivestimento di pietra una ragnatela di Tubi Innocenti sorreggeva l’illusoria architettura concepita da Narducci. Il dittatore tedesco abboccò e anzi fu così estasiato e prodigo di complimenti che poi la stazione, una volta smantellata, fu ricostruita realmente sul medesimo progetto ed è ancora oggi lì a far mostra di sé. Nemmeno Pasquino – la più famosa statua parlante romana – perse l’occasione di ironizzare sull’episodio e sentenziò:
«Povera Roma mia de travertino!
T’hanno vestita tutta de cartone
pe’ fatte rimirà da ‘n’imbianchino»
Con il precipitare della situazione poi e l’incombere della guerra la lungimiranza di Ferdinando Innocenti fu decisiva per intravedere anche in questa immane tragedia un’opportunità; Il pericolo dei bombardamenti imponeva infatti l’esigenza di proteggere i monumenti più importanti e il sistema tubo-giunto si dimostrò ancora una volta lo strumento perfetto. Se oggi possiamo ancora ammirare il Cenacolo di Leonardo ad esempio è merito anche e soprattutto di un rivestimento di sacchi di sabbia sorretti proprio da una struttura di tubi con cui fu salvata quella parete del refettorio di Santa Maria delle Grazie devastato dalle bombe.
Ma se molti capolavori furono provvidenzialmente risparmiati lo stesso non si poteva dire del resto del paese. All’indomani della pace era poco ciò che rimaneva in piedi eppure da quella tragedia l’Italia, non solo si rialzò, ma riuscì letteralmente a risorgere passando, nel breve volgere di un decennio, dalla miseria al boom economico. Fu proprio in questa rinascita che il sistema inventato da Ferdinando svolgerà un ruolo assolutamente decisivo accompagnando e -letteralmente- sostenendo la ricostruzione. Sarà in quegli anni che si affermerà infatti come protagonista indiscusso il cemento armato, un materiale rivoluzionario ma che necessitava -fino a quel momento- di costose carpenterie lignee in cui eseguire il getto, questo almeno fino a che non comparve il Tubo-Innocenti, un’alternativa molto più economica e incredibilmente più rapida: fu la svolta.
Grandi cantieri sorsero un po’ in tutto il paese e una generazione straordinaria di geniali ingegneri sembrava sfidarsi a chi ideava le strutture più ardite: Nervi, Morandi, Zorzi, Musmeci e molti altri non si limitarono solo alla stesura dei progetti ma collaborarono direttamente con la Innocenti per mettere a punto anche le strutture temporanee necessarie alla costruzione stessa. Un vero progetto nel progetto.
A questo proposito il cantiere certamente più innovativo fu quello della nuova Autostrada del Sole. La spina dorsale dei trasporti italiani, costruita in appena otto anni a partire dal 1956, che unisce Milano a Napoli con quattro corsie d’asfalto di 750 chilometri. Semplice detto così ma nel mezzo ci sono fiumi e soprattutto montagne e così per rendere possibile quest’opera fu necessaria la costruzione di 35 gallerie e ben 850 tra ponti e viadotti. Se tutto ciò fu possibile in cosi poco tempo lo dobbiamo anche al tubo giunto. In effetti provate a pensare cosa voglia dire costruire la centina in legno per un semplice ponte; Ecco ora immaginate che quel ponte sia in realtà un viadotto composto da due immani archi affiancati con una luce di 165 metri e un’altezza di oltre 100, ebbene occorrerebbero mesi di lavoro e qualche migliaio di tonnellate di legname lavorato appositamente solo per le centine. La proposta vincente della Innocenti era invece la costruzione di un solo enorme castello di tubi d’acciaio disposti a ventaglio, per la costruzione del quale erano sufficienti appena due settimane. Oltretutto la ditta si spinse oltre perché propose -una volta ultimato il primo arco- di traslare di 13 metri senza smontarla la struttura di acciaio e riutilizzarla per la costruzione di quello affianco. Risultato? I tempi venivano ridotti di oltre cinque volte rispetto ai metodi tradizionali e questo significò che i Tubi Innocenti furono utilizzati per la costruzione di praticamente tutti i viadotti dell’Autostrada a cominciare da quello sul fiume Sambro.
Il successo fu strepitoso, in tutto il mondo si parlò dell’impresa di questi cantieri, i modelli dei viadotti della A1 furono persino esposti al MoMa di New York dove non mancarono di suscitare ammirazione e la Innocenti vide moltiplicarsi le commesse un po’ in tutta Italia.
Come non citare a questo proposito gli straordinari cantieri per le Olimpiadi di Roma del ’60? Le grandi opere di quel periodo, a cominciare dai i capolavori di Nervi come il Palazzetto dello Sport e il Palaeur, tutte furono innalzate con le centine di Tubi Innocenti.
Insomma questo piccolo giunto di metallo ideato in un’officina romana da un commerciante di origine toscana rivoluzionerà letteralmente il modo di costruire rendendo fattibili ed economiche opere che fino a pochi anni prima erano ritenute semplicemente impensabili e grazie alle quali l’Italia divenne un modello di modernità per il resto del mondo. Il Protagonista Invisibile della Scuola Italiana di Ingegneria come lo definisce nel suo splendido libro Ilaria Giannetti.
Ferdinando Innocenti si meriterà per questo una -quantomai doverosa- laurea honoris causa e farà in tempo, prima di concludere una vita ricca di successi, anche a creare una famosa casa automobilistica con il suo nome e a ideare uno scooter -sarebbe più giusto definirlo un’icona- che chiamerà Lambretta e che divenne un’altro dei simbolo di questo paese e della sua modernità
(articolo scritto con Danela Tanzj e publicato su La Voce di New York )